ANNALE “PAROLA E TEMPO” n. 17/2022-23, Ed. Pazzini, Villa Verucchio 2023, 22 Euro.
EDITORIALE
Con ogni probabilità il testo sinottico che narra la morte di Gesù – «Venuto mezzogiorno, si fece buio su tutta la terra, fino alle tre del pomeriggio» (Mc 15,33 //) – vuole esser ascoltato al futur antérieur. Dopo aver a lungo gestato i molteplici contributi qui raccolti – differenti per oggetto d’indagine, timbro linguistico e genere di stile – s’è affacciata, unitamente ad una viva gratitudine per il loro notevole spessore intellettuale, l’ipotesi di partire esattamente dalla singolarità di questo dirompente controcanto evangelico per inquadrare l’intero arco tracciato all’interno di questo nuovo volume di Parola e Tempo. Interrogativi e scompiglio (con sintomi di stravaganza) dettati da un simile abbrivio che esigono certo una più accurata, seppur sintetica illustrazione.
Il punto di accesso sta nella contemporanea assunzione di un duplice elemento solo apparentemente disomogeneo. Entrambi infatti si co-implicano (agli occhi di chi scrive) nell’efficacia presentata al conto del loro rapporto temporale con le rispettive attualità.
Il primo di essi emerge dal contemporaneo. Come leggere questo tempo di crisi epocale? Detto dal versante del cattolicesimo e del cristianesimo in generale, per quanto irritante e/o depressivo possa giungere ad un numero imprecisato di orecchie ecclesiastiche, non si può più continuare ad eludere la domanda. Fosse solo per i risvolti sociologici di ciò che attiene al fenomeno drammatico degli abusi di potere di ogni ordine e grado, commessi da rappresentanti ufficiali della chiesa (non importa quantificare, non è questione di statistica) – ciò che, mutatis mutandis, potrebbe assumere le fattezze di quel che nel medioevo rappresentò il cosiddetto scandalo delle indulgenze. Per una strana ironia della storia, «dopo gli imbarazzanti interrogatori dei fedeli nei confessionali, adesso anche confessori e giudici devono rispondere di fronte al tribunale dell’opinione pubblica, e a volte anche di fronte ai tribunali ecclesiastici»1. Come resistere pertanto «alla tentazione di fare della Chiesa e della religione un ghetto, […] un mausoleo per le certezze di ieri o un giardino privato per consumatori di sostanze calmanti e anestetiche»2? Qualcosa, inaggirabilmente, va in frantumi; accade improcrastinabile l’interruzione terribile-e-salvifica – è, letteralmente, apocalisse di un senso di essere al mondo! Avviare un nuovo corso del tempo, con l’abitabilità del suo senso, ha da fare con un serio spaziarsi della differenza (finalmente!), per lasciare tempo alla ripresa della memoria evangelica, alla inesauribilità della cui dynamis è appesa l’identità della fede cristiana tout court.
L’emersione del secondo elemento ha in effetti connessioni proprio con istanze provenienti da una sempre maggiore convergenza, tra gli esegeti, intorno al peso narrativo da accordare al fatto che il Nuovo Testamento sia stato interamente redatto sotto l’influsso determinante delle atmosfere apocalittiche. Plausibile, in questa prospettiva, diventa così una lettura che tenti di cogliere l’apice dell’attestazione messianica e della sua rivelazione (cfr. Mc 15,38s) come la concentrazione straordinaria di un “di-più” del reale, letteralmente irriconoscibile sul mero piano cronologico-fattuale se non grazie alla riscrittura testimoniale (cfr. Gv 20!). L’evangelo condensa cioè insuperabilmente in questo punto del racconto la manifestazione piena del senso iscritto per sempre in quel morire. Se tale corrispondenza teologica attiene alla storicità degli eventi effettivamente accaduti, la figura della morte di Gesù «non può essere letta come rappresentazione di un passato cronologico, bensì rappresenta un segno dell’apertura multiforme di un futuro ricordato»3.
È l’intenzionalità stessa che, da cima a fondo, governa il racconto totale delle Scritture sante a non mirare la fissazione di una sequela meramente empirica di facta bruta. Desidera piuttosto lasciar-essere la parabola storicamente compiuta dell’Eschatos, al modo di una testimonianza – anticipo evangelico del compimento escatologico della storia di tutti (cfr. Mt 13,1ss). La voce biblica parla le parole del telos (cfr. Gv 19,30.35-37), dal cui bordo si lascia intra-vedere (presente) ciò che ancora dovrà essere (futuro) come anticipo del/nel ‘già accaduto’ (passato). La storia, pertanto, «viene riscritta con uno sguardo testimoniale verso il futuro»4. Non è mistificazione della realtà, né si tratta di dissimulato allegorismo. Non è neppure questione di contrapposizioni sterili fra mythos – con l’astoricità del suo tempo – e cronologia scientifico-oggettivizzante del logos. Semplicemente, la qualità squisitamente kairologica del tempo biblico si lascia contenere da entrambe le sponde. Come lampo di luce che guizza, originato da un centro avvolto nell’oscurità, il qui-e-ora del kairòs attraversa e tiene insieme soggettivo e oggettivo, memoria e immemoriale, passato e futuro, storia e racconto, logos e mythos. Con ciò si dà al contempo un vero e proprio ridislocamento del piano storico, in virtù del quale avviene il reale e la sua verità escatologica. Ultimamente, infatti, «prendere sul serio la storia come srotolamento effettivo dell’essere e non come un ripostiglio dei rifiuti»5 implica allargare ospitalmente lo spazio, offerto (d)al volto dell’A/altro, e, in direzione profetico-testimoniale, dilatare altrimenti il tempo – troppo angusto e positivizzante quello di chronos. Vi è una sponda dello storico che, mentre tende all’approdo del suo inveramento fattuale – ontico e cronologico – non si lascia ridurre ad esso, sapendosi grembo del reale solo in una inarrestabile spinta all’ulteriorità ontologica custodita dalla prospettiva kairologica, biblicamente consegnata come futuro anteriore. Errare via dal ritenere per vero l’avvenimento biblico solo se storicamente misurabile sull’unico asse cronologico, è, irrefutabilmente e fin dall’inizio, l’unica condizione del patto (cfr. Gen 12,1ss), riparo da ogni tentazione idolatrico-fondamentalista. Far memoria di futuro diviene, pertanto, la vocazione di/in ogni vocazione a piena densità realistica sulla sponda narrativa del senso, che scorre come “latte e miele”. Tutto ciò significa che non si può mai sostituire «l’oggettività della fede con l’oggettività della positività», pena l’assumere senza consapevolezza «la prospettiva fondamentalista […] vittima o immagine speculare della modernità, nella quale il chronos ha assunto il potere assoluto»6.
Dal crocifisso, dunque, a tracimare in abbondanza di vino nuovo da anfore colme d’acqua (cfr. Gv 2,7-10; 19,34), v’è senz’altro l’insuperabile/irrevocabile “una volta per tutte” della storia messianica (Ebr 10,10; cfr. 7,27; 9,12), umano-divina sprezzatura benedicente al modo del “per-sempre” sull’“ogni-volta” delle biografie, contemporaneo a moltitudini incalcolabili. Contestualmente, al vertice della storia che dis-misura ogni storia (singolare-universale), dischiude il suo proprio spazio la soglia del novum escatologico, lasciandosi dire con parole apocalittiche – rivelative – a disposizione dello sguardo profetico-testimoniale (cfr. Am 8,9).
Da questa precisa angolatura, che assume il presente rendendolo generativo di realtà e senso aperto al futuro – in grazia del grembo di una libera coscienza (singolare e plurare/comunitaria), memore delle promesse consegnate dal passato – si può scorgere il fil rouge che, particolarmente, lega articoli e saggi della parte monografica riservata dalla XVIIma uscita di Parola e Tempo. Già la rilettura a più voci dell’enciclica Laudato Sì, in occasione dell’annuale Corso di aggiornamento per gli Insegnanti di Religione delle diocesi di Rimini e San Marino-Montefeltro (“Custodire il creato” – primavera 2022), risuona della suesposta nostalgia di futuro, nota inconfondibile fra l’altro del magistero di Francesco.
Con puntuale rigore scientifico la policromia, messa in luce dai vari versanti della proposta complessiva, si compone di due trittici: il primo di carattere più teorico, il secondo improntato alla parola dell’esperienza didattica. In apertura di rassegna il contributo più spiccatamente etico di Simone Morandini, dove ad esser tematizzata è, secondo il principio dell’ecologia integrale, la misericordia di Dio – «segreto che fonda il reale stesso, lo sostiene e radica saldamente nel mistero di Dio». Lidia Maggi ha dal canto suo portato all’attenzione l’interconnessione squisitamente biblica fra «i rapporti sociali e la casa comune, tra la terra e il modo di abitarla come umanità plurale», decisiva posta in gioco per la nostra umanità. Con stile pacato ed estremamente incisivo Pierpaolo Triani, dando voce al registro pedagogico, ha richiamato, fra diverse altre suggestioni, l’urgenza di lasciar convergere i saperi in una quantomai salutare inter e trans-disciplinarietà «esercitate con sapienza e creatività alla luce della Rivelazione» (Veritatis gaudium 4), al fine di rendere un servizio indispensabile al contemporaneo e, nell’azione educativa, «all’umano» tutto intero.
L’affinamento pratico del taglio teso all’ascolto dell’esperienza ha esaltato i tre affondi della seconda parte, anch’essi altrettanto intensi e assai apprezzati. L’apprendimento di metodi didatticamente efficaci e congeniali a tradurre attenzione e sensibilità verso la casa comune del creato – «non c’è angolo […] che non ci riguardi, non c’è particolare che non vorremmo rendere più bello» –, è stato il felice e riuscito approdo della riflessione affidata ad Ada Prisco. L’amico e collega Marco Tibaldi, dal versante di una “teologia dinamica”, non ha invece mancato di dar prova della raffinata drammatica che intreccia logos e immaginazione al corpo, centro nevralgico di ogni sano discorso che si emancipi da razionalismi an-estetici e positivismi sterili. Miglior chiusura non poteva esserci, con il sapiente contributo di Renato Butera e della saporosa sua rilettura, nella prospettiva della cura per il creato, di alcuni significativi tornanti della cinematografia contemporanea.
Lo snellimento editoriale di Parola e Tempo, a partire dal numero in mano a chi legge, permette paradossalmente di porre in maggior risalto quelle sezioni che fin dall’esordio rappresentano la cartina di tornasole degli interessi propri agli ambiti di ricerca del nostro Istituto interdiocesano. Uno di essi è senz’altro costituito dall’attenzione per così dire ad extra, ovvero al rapporto vitale con la città – o, più esattamente, i territori – e i fermenti culturali in essa/i più promettenti. Il Seminario di studio, dedicato al primo centenario de La Stella della redenzione, opus magnum del grande pensatore ebreo-tedesco Franz Rosenzweig, ha in effetti visto la partecipazione di studiosi d’indubbio prestigio ed esperti di calibro, unitamente al coinvolgimento di alcuni docenti dell’ISSR romagnolo, con interessanti seppur brevi comunicazioni (Elena Cecchi, Stefano Vari, Marco Bellini). Tra le relazioni assolutamente degne di nota si menzionino quelle sull’inaudita attualità della prospettiva filosofico-teologica rosenzweighiana (Claudia Milani); sulla performatività del “Nuovo pensiero” e del suo linguaggio bisognoso di tempo (Gianfranco Bonola); sui pionieristici avanzamenti in ambito di dialogo ebraico-cristiano (Marco Cassuto Morselli).
Ad intra si volge invece lo sguardo che, nella sezione intitolata “Chiesa e Teologia”, intercetta riflessioni stimolanti nell’intersezione con le varie iniziative e attività formative proposte annualmente presso questa comunità accademica di ricerca sulle sponde dell’Adriatico. È il caso, ad esempio, della pregevole riflessione di Lubomir Zak sulla straordinaria figura di Max Josef Metzger, prete tedesco giustiziato dal regime nazista per le sue posizioni evangelicamente ispirate e convintamente pacifiste. Matteo Donati propone invece spunti di vivo interesse col suo contributo di taglio teologico-pastorale intorno alla celebrazione odierna del sacramento della Cresima. Brevi ma speculativamente intense e connotate d’affetto le pagine che Mons. Erio Castellucci (pre-fazione) e Kurt Appel (post-fazione) hanno riservato a La crepa dell’essere, pubblicazione parziale della dissertazione dottorale di chi scrive.
Quasi al modo di una sintesi – non hegeliana – alla sezione nominata “Arte e Teologia” corrispondono due bellissimi as-saggi, il primo dei quali è dedicato ai “Paesaggi del Regno. San Francesco il paesaggio e l’arte”, eccellente studio di estetica applicato alla bellezza del creato del noto Flavio Cuniberto. Il secondo, dell’ottimo e sempre puntuale don Gabriele Gozzi, segue invece con curiosa attenzione le tracce lasciate lungo il solco della storia dal passaggio di San Francesco nel territorio di San Leo, lasciandole emergere dalle fonti e dai documenti con l’esperta ermeneutica dello storico. Non si possono infine dimenticare, da una parte, la mirabile sintesi sulla Summer School 2021 dell’attuale Scuola di Alta Formazione in Arte sacra e Turismo culturale-religioso, a cura di Johnny Farabegoli e del suo raffinato gusto estetico (“Prendersi cura della bellezza. Percorsi per la valorizzazione del patrimonio artistico ecclesiale”); dall’altra il sobrio quanto interessante spaccato offerto da Alba Canali sull’artista Nuzi Ivancich Chierego.
Anche l’attuale edizione di Parola e Tempo ha riservato il proprio approdo portando anzitutto a conoscenza di un pubblico più vasto di lettori/trici estratti di alcune fra le più riuscite e brillanti tesi di laurea, presentate durante le scorse sessioni presso l’Istituto (Raffaella Conti, Lucia Berardi, Martina Catena). Infine, prima di una nutrita e accurata rassegna di recensioni editoriali, due voci femminili, amiche e di gran pregio. Paola Bignardi che, con stile garbato e assai saporoso, introduce chi legge con discrezione nelle trame di una Summer School organizzata in collaborazione con la splendida comunità monastica femminile delle Agostiniane in Pennabilli, dedicata al mondo giovanile e alla loro ricerca di senso (“I giovani, il pianeta, il futuro”). Cinzia Montevecchi, dal canto suo, offre una sintesi squisita per scrittura, sobrietà e precisione dell’annuale appuntamento seminariale nell’ambito (non solo) ecclesiale del MAB (Musei Archivi Biblioteche), quest’anno rivolto alle “Visioni di comunità: figure di santità femminile” legate ai nostri territori e diocesi.
Marco Casadei
Note
- T. Halík, Pomeriggio del cristianesimo. Il coraggio di cambiare, Vita e Pensiero, Milano 2022, p. 87.
- Ivi, p. 48 (corsivo di chi scrive).
- K. Appel, Tempo e Dio. Aperture contemporanee a partire da Hegel e Schelling, Queriniana (BTC 187), Brescia 2018, p. 182 (corsivo di chi scrive).
- Ivi, p. 177.
- I. Mancini, Tornino i volti, Marietti 1820, Genova 1999, p. 32.
- K. Appel, Tempo e Dio, op. cit., p. 178.
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