Nevio Genghini, Fonti del bene comune. Cristianesimo e società aperta, Ed. Pazzini, Villa Verucchio 2008
Non sono poche le indagini intorno alla crisi dell’etica pubblica nella società odierna. È ormai percezione diffusa che qualcosa si stia incrinando in quel “consenso per intersezione”, che ha offerto per decenni un orizzonte comune capace di arginare la deriva atomistica e il politeismo dei valori che ad essa s’accompagna. Paradossalmente, l’alleggerirsi della pressione di “ideologie forti” coincide con l’indebolirsi di un ethos condiviso, capace di garantire spazi di incontro e di cooperazione fra famiglie culturali diverse. Le analisi di questo processo, spesso ampiamente documentate sul piano storico e sociologico, non sempre si spingono, tuttavia, ad una lettura critica delle sue radici più profonde. Il merito principale che si deve riconoscere a questo libro di Nevio Genghini deriva precisamente dal tentativo di calare più in profondità la sonda dalla ricerca, coniugando, con apprezzabile equilibrio, esplorazione storiografica e approfondimento speculativo.
Il libro, frutto di una lunga e paziente maturazione di studio, che affiora solo in parte rispetto all’arco tematico che qui viene presentato, suggerisce, come chiave di lettura di questo processo, il crescente attrito fra due impulsi che il liberalismo, nelle sue molteplici versioni, stenta a conciliare: autenticità e solidarietà. Lo spirito del nostro tempo, in effetti, sembra essere vittima di una sorta di singolare schizofrenia: da un lato, incoraggia la gestione “creativa” dell’identità personale e celebra – come una nuova tappa sulla via dell’emancipazione – “leggerezza” e “liquidità” nelle relazioni umane; dall’altro, elogia la benevolenza, l’altruismo, la condivisione ed ogni altro abito socialmente virtuoso, generatore di legami in grado di “orientare” e di “risignificare” la vita delle persone.
Quello che però oggi sembra venir meno, rispetto alle fonti illuministiche, è un principio capace di unificare autenticità e solidarietà, come momenti di un unico lascito etico-politico, senza accontentarsi di accostamenti estrinseci o superficiali. In assenza di un progetto organico, l’autenticità, intesa come volontà di “interpretare” l’avventura umana svincolandosi dalle “maschere” consacrate dall’abitudine o dalla tradizione, di fatto si va espandendo a spese della solidarietà. Lo si osserva soprattutto nell’area dei rapporti intergenerazionali tra i “già nati” e i “non ancora nati”, dove l’ingegneria genetica, sempre più sensibile alle spinte di una “medicina dei desideri”, consente ai primi di modificare il profilo biologico dei secondi, alterando drasticamente, in nome di scopi terapeutici, la natura del loro rapporto, che potrebbe arrivare a perdere i tratti della reciprocità e dell’eguaglianza.
dalla presentazione di Luigi Alici