Intervista di Sara Castellani a Natalino Valentini (Direttore dell’ISSR “A. Marvelli) sul ciclo di conferenze pubbliche svoltesi in novembre – dicembre 2014 e dedicate all’umanesimo cristiano del Tempio Malatestiano. L’iniziativa è stata promossa dall’Istituto e dalla Fondazione Carim. L’intervista è comparsa su Il Ponte.
Il ciclo di incontri dal titolo “L’umanesimo cristiano nel Tempio Malatestiano” ha esplorato l’essenza del Tempio Malatestiano secondo diversi aspetti: da quello teologico-liturgico a quello storico-artistico, da quello biblico a quello filosofico-teologico, da quello architettonico a quello simbolico-iconografico, per terminare con quello etico-politico. È possibile trovare uno sguardo d’insieme che abbracci le varie prospettive con le quali si è andati alla riscoperta dell’essenza dell’opera commissionata da Sigismondo Pandolfo Malatesta?
Questo è stato il tentativo messo in atto: cercare di tenere e di far convergere le diverse angolature interpretative verso una visione integrale, in grado di mostrare l’unità dell’insieme. L’intero è più della somma delle parti. Il Tempio Malatestiano, oggi Basilica Cattedrale, è un’opera composita, frutto di una particolare cultura ecclesiale nella quale sono confluite diverse esperienze spirituali, teologiche e filosofiche nell’alveo del primo Umanesimo. Alla realizzazione di questa opera, che ingloba la medievale chiesa francescana con quanto di più prezioso in essa presente, a partire dal crocifisso di Giotto, hanno concorso artisti di straordinario rilievo, ma le loro individualità sono confluite in un’opera del genio ecclesiale che ha saputo tenere insieme tradizione, realismo e simbolismo. Certamente il primo Umanesimo inserisce all’interno della cultura medievale numerosi principi innovativi, ma pur sempre in sostanziale continuità con la grande tradizione metafisica e spirituale cristiana. Si pensi ad esempio a figure quali Marsilio Ficino e Pico della Mirandola, che hanno esercitato un notevole influsso su questa stagione culturale. Il grande teologo cattolico Henri de Lubac ha colto con straordinaria acutezza questo snodo, osservando che nell’umanesimo l’uomo «vede in Dio il sigillo e la garanzia della grandezza umana» e il cristianesimo, lungi dal disconoscere questa grandezza, elevando l’uomo «fino alla vita teologale […] la compie e la perfeziona» (Henri de Lubac, Pico della Mirandola. L’alba incompiuta del Rinascimento).
Il ciclo di conferenze sul Tempio Malatestiano ha tratto spunto dal documento preparatorio del prossimo Convegno Ecclesiale Nazionale, che si terrà a Firenze tra il 9 e il 13 Novembre. Quali aspetti emersi nel corso del ciclo di incontri sul Tempio Malatestiano sono di rilevante importanza in vista di tale Convegno?
Il V Convegno della Chiesa italiana, che porta il titolo “In Gesù Cristo il nuovo umanesimo”, non sarà certo una celebrazione storica della prima fioritura rinascimentale, bensì un cammino teso a riconoscere la bellezza dell’umano “in atto” di fronte alle grandi sfide del tempo presente. Dunque un umanesimo in ascolto, concreto, plurale e integrale, ma anche un umanesimo dell’interiorità e della trascendenza. Ma questo ripensamento attualizzato di un “nuovo” umanesimo non può recidere i legami con le sue radici. Nel documento preparatorio del Convegno si afferma che «l’umanesimo rinascimentale fu un crocevia delicato, in cui divenne evidente l’intima connessione tra la dipendenza dell’uomo da Dio e la sua capacità creativa, entrambe riflesso di quella somiglianza con Dio di cui parla Genesi». Questa prospettiva ci riconduce direttamente alla specificità del pensiero umanistico di Leon Battista Alberti, per il quale all’uomo “virtuoso” è affidato l’improbo labor di edificare, nel solco della tradizione, una rinnovata proposta di senso che sappia affrontare gli inevitabili naufragi lungo il fiume della vita, senza «mai partirsi dal timone della ragione», avendo «a mente con che venti gli altri abbiano navigato, e con che vele, e in che modo abbiano scorto e schivato ciascuno pericolo» (L.B. Alberti, I libri della famiglia). I temi che sono stati al centro delle nostre conferenze quali: la via della bellezza, la ricerca di una conoscenza sapienziale e simbolica, il senso dell’edificare in senso artistico, educativo ed etico nel rapporto tra Chiesa e città, come pure l’importanza della grazia e delle virtù, costituiscono i riferimenti fondamentali per un confronto con il prossimo Convegno di Firenze. Esso intende infatti ricollocare la persona al centro dell’agire ecclesiale, percorrendo cinque vie (uscire, annunciare, abitare, educare, trasfigurare) verso l’umanità nuova.
Umanesimo cristiano. Che cosa aggiunge l’aggettivo cristiano alla parola umanesimo?
In effetti si tratta di una distinzione formale. In senso sostanziale non aggiunge nulla, poiché la fede cristiana è anzitutto un cammino verso la piena umanizzazione. “L’uomo proviene dall’intimo di Dio”, come si legge in uno dei primi scritti di letteratura cristiana nel II secolo (Lettera a Diogneto), dunque è impastato di Lui. Qui sta la peculiare consapevolezza dell’umanesimo cristiano, che non può essere confuso con l’esaltazione di una certa idea dell’uomo e della sua autosufficienza, come mera realtà psicologica e biologica, oggi dominante. L’umanesimo cristiano è per sua natura trascendente, poiché le coordinate esistenziali entro cui l’umano si sviluppa pienamente lasciano intravvedere Altro oltre l’uomo stesso. In Gesù Cristo, vero Dio e vero uomo, la divina trascendenza e l’umana prossimità d’amore coincidono perfettamente. Per questa ragione la dottrina del Concilio Vaticano II ci ricorda che: “In realtà solamente nel mistero del Verbo incarnato trova vera luce il mistero dell’uomo” (Gaudium et spes, 22). Cristo, rivelando il mistero del Padre e del suo amore “svela anche pienamente l’uomo all’uomo” e gli rende nota la sua altissima vocazione.
Il Tempio è studiato su tanti manuali scolastici, è stato oggetto di tanti convegni, è spesso al centro di visite guidate. Dopo tanti anni, cosa si può ancora “scoprire” su di esso?
Come ho già accennato, il Tempio Malatestiano è una formidabile e complessa impresa comune che prende forma entro una solida tradizione cristiana. Non un’opera d’arte autosufficiente, né elaborazione intellettuale di una stretta cerchia di iniziati, bensì opera ecclesiale, per quanto colta e raffinata, che risponde a precise forme canoniche circa il simbolismo dello spazio e del tempo, della luce e delle forme, fino ai minimi dettagli compositivi. Come ha ben argomentato Mons. Crispino Valenziano, in fondo qui tutto è unificato e conforme all’integrità organica della cultura ecclesiale. Anche per queste ragioni, il Tempio resta un’opera aperta, che, proprio in quanto tale, è soggetta ancora oggi a molteplici interpretazioni. Tuttavia, non ci si può limitare ad esaltare una prospettiva trascurando le altre. Anche in questo caso la verità è sinfonica ed esige la coesistenza di molteplici elementi.
Per alcuni anni il Tempio è stato oggetto di polemiche: c’è chi lo riteneva solo uno scrigno architettonico e di opere d’arte e chi invece solo luogo di culto.
Come già detto, si tratta di polemiche sterili e fuorvianti, totalmente scevre di ogni concezione ecclesiale dell’arte. L’arte sacra nella vita della Chiesa è consustanziale al suo stesso essere, alle possibilità logiche della materia. Per questo, da sempre, la via pulchritudinisè parte integrante del mistero liturgico, della catechesi e dell’evangelizzazione.