RISCOPRIRE LA BELLEZZA DELLA FEDE
Avvio del nuovo Anno Accademico dell’Istituto Superiore di Scienze Religiose
È un offerta culturale e professionale su un versante di studio e di ricerca generalmente trascurato dall’Università italiana, quello delle Scienze Religiose. E il nuovo titolo che propone, oltre che valido per l’insegnamento della religione a scuola, può essere valorizzato anche per nuove forme di professionalità. L’Istituto Superiore di Scienze Religiose “Alberto Marvelli” della Diocesi di Rimini (nella nuova sede di San Fortunato) ha ripreso l’attività didattica e formativa. Ne parliamo con il direttore Natalino Valentini.
Ad oltre tre anni dall’approvazione ufficiale da parte della Congregazione per l’Educazione Cattolica qual è la situazione attuale del nuovo ISSR?
“L’attuale condizione dell’Istituto Superiore mi pare sia complessivamente positiva. Sia pure attraversando non poche difficoltà, la proposta del nuovo ordinamento è stata ben accolta: gli studenti iscritti nell’ultimo anno sono stati complessivamente 275 (compresi iscritti ai percorsi integrativi e fuori corso del vecchio ordinamento). Nonostante i timori iniziali, il progetto di riordino proposto sta avendo un buon riscontro, non solo in termini di graduale crescita annuale degli iscritti, ma anche di qualità dell’offerta formativa e dei servizi connessi (penso soprattutto alla Segreteria, agli ambienti di studio, alle attrezzature didattiche, alla preziosa presenza della Biblioteca, ai confortevoli ambiti ricreativi). Certo, saranno necessari ancora alcuni anni per un assestamento definitivo del nuovo impianto, tuttavia la scelta compiuta dal nostro ISSR si sta rivelando molto feconda. Questa scelta ha tentato di coniugare una duplice esigenza: quella di corrispondere alla sfida di una formazione teologica e culturale di livello universitario, con quella di un solido radicamento ecclesiale, in grado di corrispondere adeguatamente alla formazione teologica e spirituale in prospettiva pastorale.”
Quale titolo di studio rilascia l’Istituto Superiore di Scienze Religiose, e qual è la sua validità?
“Il nostro Istituto rientra a pieno titolo nel cosiddetto «Processo di Bologna» (al quale ha aderito dal 2005 anche la Santa Sede), vale a dire al percorso intrapreso dall’Unione Europea che, sulla base di precisi requisiti qualitativi, procede al riconoscimento e all’equiparazione dei titoli accademici tra gli Stati europei. Questo percorso sarà portato a termine entro il 2010, ma già dal giugno di quest’anno è stato possibile conseguire il nuovo titolo accademico in Scienze Religiose, equivalente in ambito civile ad una laurea umanistica, con una sua validità giuridica anche per concorsi pubblici.”
Quali le prospettive per il Biennio di Specializzazione?
“Dall’anno accademico scorso è stato possibile portare a termine il percorso triennale, che è stato ulteriormente affinato e consolidato. Ma oltre a garantire questo primo ciclo di studi, finalizzato anche al conseguimento del titolo di Laurea triennale di Scienze Religiose (riconosciuto anche in ambito civile, in tutta Europa), abbiamo ottenuto nei giorni scorsi la possibilità di dare avvio al Biennio di specializzazione, che attiveremo dal prossimo ottobre. Il nostro ISSR è l’unico nell’area romagnola ad aver ricevuto questo importante riconoscimento sia per la Laurea triennale, sia per la specialistica. Insomma, per la prima volta, sarà possibile intraprendere e completare nella nostra sede riminese l’intero percorso accademico, garantendo anche nel nostro territorio un dignitoso ritorno della ricerca e della formazione teologica in ambito universitario. Mi pare un risultato del quale fare tesoro, a cominciare dall’ambito ecclesiale.”
A cosa può servire questo titolo? Quale può essere la sua utilità?
“Oltre ad essere un requisito indispensabile per coloro che nei prossimi anni intendono proporsi per l’insegnamento della religione nella scuola pubblica, il titolo potrebbe essere valorizzato (come prevedeva il piano di riordino degli studi teologici della CEI) anche per nuove forme di professionalità, a partire dall’ambito ecclesiale. Penso a coloro che esigono qualificare adeguatamente il loro servizio pastorale (diaconi, operatori pastorali, catechisti, liturgisti ecc.), ma soprattutto agli operatori della cultura e dell’educazione, della stampa e della comunicazione, a coloro che si occupano dei beni culturali ecclesiastici, dell’arte sacra, del turismo religioso. Penso al delicato settore della bioetica, del dialogo ecumenico ed interreligioso, dei mediatori sociali e interculturali…. Tuttavia, chi intraprende un percorso di questo genere forse dovrebbe abbandonare ogni pretesa di «utilità» immediata. Qui la vera utilità sta nella scoperta del dono di gratuità e bellezza che il progetto contiene, anzitutto nel cammino di una formazione interiore.”
Per quale motivo oggi la Chiesa sostiene e promuove percorsi di formazione nelle scienze religiose come questi?
“Per la Chiesa rinunciare all’educazione della fede, all’iniziazione cristiana, e quindi alla formazione teologica, significherebbe tradire la sua vocazione originaria all’Annuncio. Fondamentale resta qui il monito dell’apostolo Pietro (proprio lui, il pescatore): «Siate pronti a dare ragione della speranza che è in voi» (1Pt 3,15). Chiediamoci onestamente: qual è il livello medio di conoscenza dei fondamenti dottrinali della religione cristiana tra la nostra gente di Chiesa, nei cattolici e più in generale, nella cultura laica del nostro tempo? Perché continuiamo a lasciare tanti fedeli in questa penosa condizione di anoressia spirituale, considerandoli sempre «pargoli» nel cammino di fede? Ciò non è tollerabile. Oggi assistiamo ad un proliferare davvero sorprendente di nuove forme di paganesimo e di idolatria, al dilagare dell’indifferenza, ma anche di reincantamento esoterico. Alla diffusa ignoranza di cultura religiosa (spesso anche tra persone ritenute colte) si congiunge l’espandersi di nuove e più raffinate forme di ateismo, unitamente al «consumo del sacro» e del torbido irrazionalismo spiritualista. Ma il dramma sta nel fatto che alcune di queste forme idolatriche finiscono per invadere la stessa vita cristiana, inquinando l’esperienza di fede e generando le diverse patologie del credere. Di fronte a questa desolante situazione sociologica e culturale, per molti versi senza precedenti, è necessario riproporre con vigore l’esigenza di una solida formazione cristiana, centrata sulla Scrittura e sui tesori spirituali della Tradizione teologica. Per un verso è necessario riappropriarsi di un lessico cristiano in grado di cogliere il profondo legame esistente tra fede e logos, tra vangelo e cultura, nel tentativo di mostrare l’efficacia storica di una fede che per sé è amica dell’intelligenza e della libertà, ma per altro verso è altresì necessario purificare la propria fede, renderla più vera e autentica, anche mediante l’esercizio del pensiero, dello studio, dell’ascolto della Parola di Dio, della conoscenza e della contemplazione. Insomma, oggi più che mai è necessario riscrivere una nuova «grammatica del pensiero credente» e in questa direzione convergono le feconde sollecitazioni dei nostri pastori per «una fede adulta» e «pensata», capace di «tenere insieme i vari aspetti della vita facendo unità di tutto in Cristo», con quelle ancor più vibrate del magistero di Benedetto XVI, sull’esigenza di «allargare gli spazi della nostra razionalità, riaprirla alle grandi questioni del vero e del bene, coniugare tra loro la teologia, la filosofia e le scienze, nel pieno rispetto dei loro metodi propri e della loro reciproca autonomia, ma anche nella consapevolezza dell’intrinseca unità che le tiene insieme». Proprio su questo versante il Santo Padre invitava la Chiesa italiana (riunitasi a Verona) a «spendersi» senza risparmio, anche per restituire alla fede cristiana piena cittadinanza.”
Che cosa si intende esattamente per “fede pensata”?
“L’adesione di fede non si può ridurre a mero fideismo. Già sant’Agostino osservava che «la fede o è pensata o è un nulla». Certo, come sta scritto nella Lettera agli Ebrei, «La fede è il fondamento di ciò che speriamo e la prova delle cose che non vediamo» (Ebr 11,1), dunque essa è visione delle cose invisibili, non l’evidenza di ciò che appare, né agli occhi del corpo, né a quelli della mente, poiché in fondo è soltanto l’amore che vede ciò che è invisibile. Tuttavia la fede può essere pensata, deve essere messa in rapporto con l’esercizio della ragione, anche per mostrarne la sua sensatezza. Fin dai primi secoli, la comunità cristiana ha avvertito come connaturale al suo essere l’esigenza insopprimibile di andare alla ricerca della «perfetta conoscenza », per farsi testimone credibile di Gesù Cristo, «nel quale sono nascosti tutti i tesori della sapienza e della scienza» (Col 2,3). Oggi più che mai s’impone l’urgenza di conoscere i fondamenti della propria cultura, favorendo la crescita di una ragione che sgorghi dal dialogo, aperta al riconoscimento delle differenze, nella consapevolezza della propria identità religiosa.”
Simona Mulazzani – «Il Ponte», 11 ottobre 2009