Riportiamo integralmente qui di seguito l’articolo di Natalino Valentini, pubblicato nella rivista quindicinale “Il Regno”, n. 6, 2019, pp. 143-146.
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Perché oggi è urgente per l’Europa un dialogo strutturato tra le religioni
L’epoca in cui viviamo è caratterizzata dalla straordinaria possibilità d’incontro di tutti gli esseri umani a livello planetario, globale, in modalità e forme che non hanno precedenti nella storia. Da questo punto di vista, l’attuale contesto internazionale, soprattutto europeo, si presenta carico di grandi opportunità e promesse, ma anche di drammatiche minacce.
La presente situazione storica è quindi, per tutti noi, un appello per una rinnovata responsabilità, affinché questa possibilità d’incontro globale, attraverso la paziente tessitura delle relazioni internazionali, del dialogo interculturale e interreligioso, rappresenti per l’umanità un’inedita tappa verso un nuovo umanesimo.
Molto schematicamente, occorre riconoscere che di fronte a noi abbiamo oggi sostanzialmente due vie: l’accrescimento d’umanità, il perfezionamento di una compiuta umanizzazione, rispettosa della dignità della persona e dei suoi diritti fondamentali, a cominciare dal diritto alla libertà di coscienza e alla libertà religiosa; oppure il rischio sempre incombente di ritorni regressivi al conflitto, allo «scontro di civiltà», alla discriminazione, all’imbarbarimento, alla disumanità… Esperienze drammatiche vissute per secoli, anche in Europa, fino a settant’anni fa. Tertium non datur.
Dobbiamo essere profondamente consapevoli che l’unica e vera risposta alle sfide dell’ora presente potrà venire soltanto da un dialogo autentico e responsabile fra le nazioni, le culture e le religioni; soprattutto tra le religioni, che costituiscono l’anima più intima e profonda delle diverse culture. Come aveva colto acutamente negli ultimi anni di vita il filosofo Hans Georg Gadamer, uno dei padri dell’ermeneutica contemporanea, tra i maggiori pensatori del XX secolo: «Solo un autentico dialogo tra culture e religioni, che presuppone una vera conoscenza reciproca, può scongiurare il pericolo dell’autodistruzione dell’umanità»1. Queste parole pronunciate oltre vent’anni fa risuonano oggi ancora più attuali e ineludibili, soprattutto di fronte alle drammatiche emergenze umanitarie che stiamo vivendo e al preoccupante ritorno di ideologizzazioni nazionaliste e sovraniste.
Il dialogo interreligioso è oggi una delle sfide culturali più radicali del nostro tempo, una sfida inevitabile, fondamentale e urgente, non solo sul piano culturale e spirituale, ma anche sociale, politico e delle relazioni internazionali. Esso gioca un ruolo sempre più rilevante e talora decisivo nei processi d’integrazione culturale, d’inclusione sociale e di pacificazione. Contro ogni forma d’isolamento, di discriminazione, d’ignoranza, d’indifferenza, di disprezzo, d’ottuso radicalismo e feroce fondamentalismo, frutti avvelenati di una decadenza culturale e spirituale del genere umano, l’unica vera arma a nostra disposizione è quella della cultura e dell’educazione, della conoscenza reciproca e della responsabilità.
Solo l’accrescersi di una ragione che sgorghi dal dialogo, una ragione aperta al riconoscimento delle differenze nella piena consapevolezza della propria identità culturale e religiosa, può arginare le degenerazioni del radicalismo religioso.
Cultura deriva da «culto»
Il punto di partenza sta nella consapevolezza della relazione sostanziale tra cultura/e e religione/i, anche per una coscienza laica o non credente. Si tratta di un’acquisizione molto importante dell’antropologia e della fenomenologia della religione soprattutto nel corso del XX secolo. Le religioni costituiscono l’anima più intima della cultura, le sue radici più profonde, a partire dal culto e dalla relazione tra culto, rito e cultura.
La cultura, come dimostra anche l’etimologia della parola (cultura da cultus), ha come suo nucleo e radice il culto2. La cultura è ciò che dal culto è generato e si separa, come un germoglio, un tralcio, uno stelo laterale. I luoghi e gli oggetti sacri sono l’opera prima dell’uomo, mentre i valori culturali sono derivati del culto, strati che dal culto si staccano come le pellicole secche da una cipolla.
Uno dei maggiori pensatori russi del XX secolo, Pavel A. Florenskij, grande genio del pensiero (scientifico, filosofico e teologico), definito «il Leonardo da Vinci della Russia» (fucilato dal regime sovietico nel dicembre del 1937, dopo 5 anni di gulag alle isole Solovki) ha indagato con impareggiabile acutezza questa relazione costitutiva tra culto e cultura, tra religione e dinamiche delle società laiche e secolarizzate già all’inizio del XX secolo, in una sua opera fondamentale, dal titolo La filosofia del culto.
In essa l’autore dimostra come il sistema delle idee non sia altro, inizialmente, che un sistema generato dal culto: «Sono miti che sviluppandosi dalla stessa azione cultuale, dal rito intelligibile, spiegano il culto (…) Questi miti, termini, formule si sviluppano poi indipendentemente, evolvono in maniera autonoma, si allontanano e si separano dal culto, diventano soggetti, formule e termini laici, letterari e scientifico-filosofici. E nell’ultimo stadio di sviluppo dell’azione propriamente rituale generano la filosofia laica, la scienza laica, la letteratura laica»3.
Questo dato originario non va trascurato, né minimizzato, come generalmente ha fatto negli ultimi 50 anni gran parte del pensiero politico, pur ispirato da una giusta e ragionevole visione laica dello stato e della società. Ma richiamare il principio di laicità dello stato, riconosciuto da tutte le democrazie moderne europee, non significa misconoscere o negare intenzionalmente, e anche ideologicamente, il nesso vitale e costitutivo che sussiste antropologicamente e nella storia del pensiero umano tra cultura e religione quale presupposto del riconoscimento della libertà religiosa.
La nostra epoca è caratterizzata non solo da un crescente pluralismo religioso nel villaggio globale, ma anche, sorprendentemente, da un diffuso ritorno delle religioni sulla scena pubblica e politica. Qual è il ruolo delle religioni, in particolare delle grandi tradizioni monoteiste, in questo nuovo contesto? Quale dialogo intraprendere e rafforzare tra le diverse identità religiose? È possibile riscoprire insieme le radici di un dialogo interreligioso come fondamento della civiltà e di un nuovo umanesimo? La risposta a queste domande presuppone una convergenza, sia pure nel rispetto delle diverse tradizioni culturali e religiose, verso alcuni fondamenti comuni del dialogo.
Il concetto-esperienza di dialogo sta a fondamento della cultura occidentale e mediorientale, ma oggi questo termine rischia di logorarsi, anche a causa della sua banalizzazione e del suo abuso, diventando una sorta di parola-talismano destinata a tutti ma adatta a nessuno.
Dialogo come relazione
Nel corso del XX secolo, ancor più che in passato, si è a lungo discusso delle diverse forme del dialogo e sono state elaborate differenti e vigorose prospettive di pensiero: la filosofia dialogica, il dialogo conoscitivo, ermeneutico, metodologico; il dialogo interculturale, il dialogo ecumenico (tra le diverse confessioni cristiane: cattolicesimo, ortodossia, protestantesimo), il dialogo interreligioso.
Ognuna di queste forme riveste una sua peculiarità che andrebbe attentamente esaminata e riconsiderata rispetto alla sua genesi e ai suoi sviluppi4. Ma in fondo cosa significa dialogare? Il dialogo è la relazione interpersonale che avviene nel rispetto dell’alterità dell’interlocutore, sulla base di un presupposto d’incontro già esistente, in vista di un avvicinamento e di un’unione più profonda, per un accrescimento e giovamento reciproco5.
Dunque, gli aspetti costitutivi del dialogo sono l’autenticità della relazione, il rispetto dell’alterità, il vicendevole ascolto, l’umiltà, la pazienza, la ricerca di una condivisione e persino una possibile comunione. Tutto questo comporta inevitabilmente l’interiore docilità al vero e al bene, una volontà di perfezionamento, anche l’accettazione di un certo rischio. Ma ogni esperienza umana autentica comporta un certo margine di rischio e, come ebbe a intuire con formidabile acutezza il grande poeta Friedrich Hölderlin: «Dove cresce il rischio, cresce anche ciò che salva».
Il dialogo infatti non può essere confuso con la conversazione convenzionale, né tanto meno con la retorica del discorso, o peggio ancora con la chiacchiera o il monologo. Il dialogo autentico è rischioso poiché implica sempre una radicale messa in gioco di se stessi, un’interrogazione esistenziale, una vera capacità d’ascolto, d’attenzione; una povertà che escluda ogni autosufficienza o eccessiva sicurezza di sé, lasciando spazio e tempo per una sincera autorivelazione e consegna di sé, fino alla possibilità di un’intima comunione d’intenti. Come è stato colto con singolare profondità teoretica ed esistenziale: «Dopo il dialogo nessuno dei due è lo stesso di prima, nel dialogo avviene qualcosa in entrambi, e i frutti del dialogo sono generati da quell’evento, da quell’unione esistenziale (…) Il dialogare diventa con-vivere ed entrambi gli individui, esercitando reciprocamente un’azione maieutica, avanzano l’uno grazie all’altro nella loro esistenza»6.
Per raggiungere il suo scopo, quello cioè di portare l’essere umano verso il suo fine ultimo, verso la sua piena umanizzazione in relazione con l’altro, il dialogo esige prima di tutto una sua radicale purificazione da ogni forma di sopraffazione, di cooptazione, d’autosufficienza, d’onnipotenza e di violenza; tutte dinamiche tentatrici che si annidano e si agitano nel «sottosuolo» di ogni essere umano.
Solo sulla base di questi presupposti, passando attraverso un progressivo affinamento spirituale di libertà interiore e d’accoglimento incondizionato dell’altro, si può tentare di dare forma e concretezza a un’autentica arte del dialogo in grado di generare frutti d’umanità e di sapienza. Solo in seguito possiamo riscoprire insieme i fondamenti ontologici del dialogo, vale a dire il Logos come principio universale che regge l’intero universo, la dimensione dialogica dell’esistenza, il nesso che sussiste tra Essere e Logos che costituisce anche il fulcro dell’antropologia e della filosofia del linguaggio di gran parte del pensiero e del Novecento.
Per una convivialità delle differenze
Infatti, proprio nel corso del XX secolo, che ha visto consumarsi le forme estreme di barbarie prodotte soprattutto dagli opposti totalitarismi7, è maturata altresì, paradossalmente, una straordinaria riflessione filosofica, teologica ed etico-politica sul dialogo, animata e nutrita soprattutto proprio dalle grandi tradizioni religiose monoteiste. Il Novecento, sia pure in modo discontinuo, ha sorprendentemente portato alla luce con vigore teoretico e coerenza etica la straordinaria potenzialità del dialogo come dimensione costitutiva del sé, a partire dalla relazione fondante con il tu dell’altro.
Ci riferiamo in particolare alla prodigiosa riflessione elaborata dal pensiero ebraico (in particolare da M. Buber, F. Rosenzweig, E. Lévinas), dal pensiero e dalla teologia cristiana cattolica (da F. Ebner a R. Guardini e L. Massignon, fino a R. Panikkar, passando attraverso il magistero del concilio Vaticano II, da Paolo VI a papa Francesco); protestante (da D. Bonhoeffer a E. Brunner, fino a P. Ricoeur) e ortodossa (da L. Lopatin, P. Florenskij fino a S. Avericev); ma anche dal pensiero islamico (da Al-Algani a M. Arkoun), solo per citare alcuni punti di riferimento tra i più significativi della cultura religiosa del Novecento.
Il dialogo interreligioso non può prescindere da questi presupposti, soprattutto nell’epoca attuale, caratterizzata da un diffuso pluralismo religioso che tende a diventare l’orizzonte stesso della cultura e della teologia di questo secolo. La storia delle religioni è necessariamente una «storia di salvezza», perché essa è stata da sempre assunta nel cammino dell’auto-comunicazione storica di Dio all’umanità e della sua volontà assoluta di salvezza per tutti. A partire da questa prospettiva prende forma un’ampia e articolata riflessione tesa a delineare una teologia cristiana delle religioni e del dialogo interreligioso8.
Tentare di mettere in atto un vero dialogo tra le diverse religioni, e quindi tra i fedeli che a esse appartengono, significa uscire dalla convenzionale e diplomatica cortesia dei rapporti formali e delle apparenze, per entrare in una messa in gioco autentica di sé stessi. Questo implica inevitabilmente un radicale ripensamento del rapporto sussistente tra identità e differenza, prossimità e alterità. Occorre esplorare le tracce dell’io nell’altro, passando dall’estraneità alla prossimità, dall’alterità «al volto dell’altro» (Lévinas) per giungere a riscoprire il senso più profondo della persona-in-relazione, dell’etica della responsabilità per l’altro, fino a comprendere come sia possibile oggi dare forma e concretezza a una convivialità delle differenze, o meglio, a una vera e propria «comunità dei volti», sulla quale fondare l’ethos del futuro.
Una sfida colta con profetica acutezza e tenacia soprattutto dal filosofo italiano Italo Mancini, il quale osservava negli ultimi anni della sua intensa ricerca: «Alla metafisica dell’essere o alla dialettica delle totalizzazioni deve, pena la logica di guerra, succedere la comunità dei volti, i diritti dell’altro senza nessuna pretesa di reciprocità, da vivere tutta nel libero dono dell’eccomi, nel responsabile stare di fronte agli altri, nel concentrarsi senza nessuna arroganza inventando ogni giorno il faccia a faccia»9.
Solo da una rischiosa prospettiva di questo genere, che trova alimento nelle fonti spirituali e sapienziali più cristalline delle principali tradizioni religiose monoteiste, può rinascere un’autentica cultura di pace e di dialogo tra le religioni quale presupposto di un consenso etico tra culture10.
Oltre Narciso
Ma tutto questo implica un vero e proprio arrovesciamento di cultura e di mentalità: dalla centralità dell’io all’incontro dell’altro, dall’ossessione del soggetto all’umanesimo dell’altro, alla centralità della persona in relazione, fino a farsi carico della responsabilità per l’altro. Di fronte al «cambiamento d’epoca » nel quale ci ritroviamo all’inizio di questo terzo millennio, urge un mutamento profondo e radicale a partire dal superamento del mito di Narciso, operando un passaggio decisivo dal complesso dell’identità alla scoperta della differenza, fino alla possibile convivialità delle differenze (religiose), superando il rischio dell’assimilazione e annessione divorante o della con-fusione sincretista, ma anche quello dell’estraneazione, del rifiuto e del conflitto.
Ciò non significa rinnegare la propria identità, il suo bisogno e il suo diritto, ma riscoprirla su un piano più alto di consapevolezza dopo essere passati attraverso la relazione con l’alterità, la scoperta e il riconoscimento del volto dell’altro, dunque della differenza come valore e arricchimento. Identità e differenza possono coesistere in un rapporto di interazione e reciprocità in vista di un graduale accrescersi di una scambievole conoscenza e responsabilità.
Già l’orientalista cattolico Louis Massignon, influenzato anche da Charles de Foucauld, aveva intuito l’urgenza di questo decentramento da sé quale presupposto per questa convivialità, nella convinzione che «per comprendere l’altro, non bisogna annetterlo, ma diventare suo ospite»11, tenendo conto che ogni autentica spiritualità è sempre incarnata, ha corpo e terra, storia e cultura.
In questa prospettiva, quanto caratterizza in modo specifico una fede, una religione, costituisce una ricchezza per l’altra distinta da sé, ma anche questa è chiamata a sua volta a relazionarsi, ospitandola, accogliendola, per riconoscersi e ritrovarsi. Come è stato acutamente intuito, ogni identità è relazionale e ha il suo eidos paradigmatico nella relazione sponsale/nuziale12.
La storia religiosa dell’umanità può e deve essere letta alla luce del dialogo che Dio ha voluto instaurare con essa. Le religioni, in tutte le loro varie espressioni e i loro molteplici simboli, descritti dalle scienze empiriche, storiche, sociali, psicologiche ecc., possono e devono essere in realtà comprese nel loro senso più profondo alla luce della storia di Dio con l’uomo e della risposta dell’uomo alla chiamata di Dio: chiamata e risposta che fondano, costituiscono e attraversano tutto il tessuto della storia religiosa dell’umanità.
La percezione della trascendenza assoluta di Dio, che nessuno ha mai visto (cf. Gb 1), che abita in una regione inaccessibile (cf. 1Tm 6,16), l’esperienza del Dio che s’avvicina all’uomo per comunicare con lui e anzi per stabilire un rapporto d’amicizia che diviene alleanza nuziale, la consapevolezza che la terra intera è coinvolta in questo processo di relazione tra Dio e uomo partecipando al destino dell’intera umanità ci chiamano a un’autentica relazione dei distinti per una comunione vicendevole.
Com’è stato opportunamente rimarcato, «dialogare significa sempre anche camminare insieme e cercare insieme la verità totale. C’è infatti da sperare che partendo dalla propria luce e aprendosi alle luci degli altri, quindi partendo da tutto ciò che Dio ha fatto conoscere di sé nella storia umana “in molti tempi e modi”, Dio farà arrivare tutti alla luce totale che è la sorgente prima di tutte le luci, cioè a sé stesso»13.
Teologia del dialogo interreligioso
Ma tutto questo implica innanzitutto un’approfondita conoscenza delle diverse tradizioni religiose, un’accurata esplorazione dei loro nuclei mistici e sapienziali sulla base dei quali ritrovare quella radicale unità, oltre le divisioni14.
Il dialogo interreligioso raggiunge infatti il suo vero scopo quando si trasforma in una ricerca comune della verità divina nel suo aspetto più totale e comprensivo.
Oggi è giunto il momento d’elaborare una nuova teologia del pluralismo religioso e della storia religiosa dell’umanità, accompagnata da una corrispondente spiritualità, ma soprattutto da una diversa educazione e formazione ecumenica e interreligiosa, esercitando un attento discernimento critico su tutta la storia religiosa dell’umanità. Occorre dunque mettere in atto un rigoroso e sistematico investimento formativo ed educativo rivolto soprattutto verso le nuove generazioni.
I frutti del dialogo interculturale e interreligioso possono essere raccolti a medio e lungo termine solo sulla base di due presupposti imprescindibili: la conoscenza oggettiva e reciproca tra le diverse religioni; la concreta possibilità d’incontro e confronto tra i componenti delle diverse comunità religiose.
Ora, le forme di dialogo (e del superamento dei reciproci pregiudizi) possono assumere molteplici implicazioni e risvolti, come rimarcato anche da autorevoli documenti ecclesiali15: il dialogo della vita, delle opere, delle spiritualità, degli scambi conoscitivi e teologici, dell’esperienza religiosa viva.
Certamente queste sono le strade che dobbiamo percorrere e che ancora attendono in gran parte una loro concreta attuazione, e che esigono da ognuno di noi una rinnovata consapevolezza spirituale e culturale, unitamente a una diversa assunzione di responsabilità sociale e politica.
Anche per questo avvertiamo oggi l’urgenza e la necessità di una formazione strutturata, sistematica, organica e obiettiva, incentrata su una rigorosa fondazione epistemologica del dialogo tra le diverse culture religiose presenti in Europa16.
Siamo entrati ormai in un tempo nuovo della storia umana e per l’intera cultura europea; di fronte al rapido espandersi della globalizzazione e dei suoi effetti anche sui processi culturali e religiosi, occorre rendersi conto che: «Solo quella religione e quella cultura che saranno capaci di maggior dialogo e apertura verso “l’altro da sé” potranno sperare d’apportare un contributo positivo alla nuova era che si sta aprendo per tutta l’umanità. Questa apertura illimitata e reciproca sembra essere l’unica alternativa per superare i conflitti tribali che hanno afflitto l’umanità fin dal suo sorgere, e che lungo tutta la sua storia sono stati la causa di infinite tragedie»17.
Natalino Valentini*
* Il testo rivede e amplia la relazione presentata a Bruxelles il 27 giugno 2018 nel Seminar on Interreligious Dialogue in International relations su «Le sfide attuali del dialogo interreligioso» promosso dal Gruppo PPE del Parlamento Europeo. L’autore ringrazia i presidenti della Commissione Jan Olbrrycht e György Hölvényi e Paolo Licandro per l’invito e la pubblicazione del testo.
1 H.G. Gadamer, intervista a La Stampa, 31.3.1996.
2 «La cultura, come risulta chiaro anche dall’etimologia, è un derivato del culto, ossia un ordinamento del mondo secondo le categorie del culto. La fede determina il culto e il culto la concezione del mondo, da cui deriva la cultura»: P.A. Florenskij, Il simbolo e la forma. Scritti di filosofia della scienza, a cura di N. Valentini, Bollati – Boringhieri, Torino 2007, 7.
3 P.A. Florenskij, La filosofia del culto, a cura di N. Valentini, San Paolo, Milano 2017, 155s.
4 Tra i tentativi più strutturati e significativi in questa direzione ricordiamo in particolare l’Opera omnia di R. Panikkar, in particolare il tomo 1, Pluralismo e interculturalità e il tomo 2, Dialogo interculturale e interreligioso del VI volume dell’opera, a cura dello stesso autore e di M. Carrara Pavan, Jaca Book, Milano 2013.
5 Questa è la connotazione suggerita efficacemente da P. Rossano, Dialogo e annuncio cristiano. L’incontro con le grandi religioni, Paoline, Milano 1993, 15. Dello stesso autore ricordiamo inoltre l’intensa e attualissima riflessione Vangelo e cultura (Paoline, Roma 1985). Per un confronto più ampio e attualizzato su questo aspetto si veda inoltre l’accurata «Introduzione» di B. Salvarani alla raccolta di scritti di papa Francesco, Il dialogo come stile, EDB, Bologna 2016.
6 S. Kracauer, Sull’amicizia, Marietti, Genova 1989, 80. Questa cognizione del principio dialogico sembra trovare la sua ispirazione originaria nel pensiero religioso russo del Novecento, in particolare in alcune riflessioni maturate da Pavel Florenskij e da Michail Bachtin.
7 Per una rilettura della barbarie concentrazionaria come punto di ripartenza per una possibile rifondazione etica si veda soprattutto T. Todorov, Di fronte all’estremo, Garzanti, Milano 2011.
8 Per un approfondimento di queste prospettive si vedano in particolare M. Naro (a cura di) La teologia delle religioni oltre l’istanza apologetica, Città Nuova, Roma 2013; M. Crociata (a cura di), Teologia delle religioni. La questione del metodo, Città Nuova, Roma 2006.
9 I. Mancini, Tornino i volti, Marietti, Genova 1989, 54.
10 Cf. P.C. Boriri, Per un consenso etico tra culture, Marietti, Genova 1991.
11 Cf. L. Massignon, Il soffio dell’islam. La mistica araba e la letteratura occidentale, Medusa, Milano 2008, 8.
12 Lungo questa feconda prospettiva nuziale si sviluppa l’intensa riflessione teologica di Giorgio Mazzanti, presagendo anche una sua possibile estensione all’ambito del dialogo tra le religioni; un completarsi a vicenda aprendosi a un compimento ancora più alto che coincide con il sogno ultimo di Dio, quello espresso dal linguaggio paolino: Dio tutto in tutte le cose e in tutti (cf. 1Cor 15,28), che fa propria la relazione unitiva e distintiva come lo è quella nuziale umana. Della vasta elaborazione si veda in particolare G. Mazzanti, Persone nuziali. Communio nuptialis. Saggio teologico di antropologia, EDB, Bologna 2005.
13 G. Scattolin, Islam e dialogo, EMI, Bologna 2004, 42.
14 Cf. P.A. Florenskij, «Nota sull’ortodossia», in Id., Bellezza e liturgia. Scritti su cristianesimo e cultura, a cura di N. Valentini, Milano 2010, 39.
15 Ci riferiamo in particolare al documento Dialogo e annuncio: riflessioni e orientamenti concernenti il dialogo interreligioso e l’annuncio del Vangelo, del Pontificio Consiglio per il dialogo interreligioso e della Congregazione per l’evangelizzazione dei popoli, del 19.5.1991.
16 In questa direzione si colloca anche il corso di alta formazione in Dialogo interreligioso e relazioni internazionali, che l’Istituto superiore di scienze religiose «A. Marvelli» delle diocesi di Rimini e di San Marino- Montefeltro ha avviato d’intesa con l’Università degli studi di San Marino. Questo progetto formativo (presieduto da Franco Cardini, si avvale della collaborazione di autorevoli studiosi e intende caratterizzarsi per la qualità scientifica e l’innovazione metodologica, offrendo la possibilità di una specifica preparazione in ambiti oggi ancora molto trascurati dalla formazione universitaria nel nostro paese e in Europa, nonostante la loro cruciale emergenza e rilevanza culturale, sociale e geopolitica. Numerose sono ormai in Europa e in Italia le iniziative estemporanee sul dialogo interreligioso: forum, convegni, seminari, conferenze… ma purtroppo ancora pochissimi i centri di formazione permanente, di ricerca, studio e confronto.
17 Scattolin, Islam e dialogo, 52.