Discorso di fine mandato del prof. Valentini

«Fare la verità nella carità» (Ef 4,15)

Non intendo in alcun modo presentare qui un bilancio di quanto è stato realizzato dall’ISSR in questi 16 anni in termini quantitativi e qualitativi, delle tante attività svolte, e delle molteplici trasformazioni messe in atto. Non è questo il momento, né spetta solo a me farlo. Mi preme invece cogliere questa occasione, voluta dal vescovo Mons. Francesco Lambiasi, per esprimere la mia gratitudine, il mio ringraziamento e la mia gioia per questa bella ed intensa esperienza. Permettetemi quattro brevi annotazioni in forma di ringraziamento strettamente correlate.

1. Il dono ricevuto

Desidero anzitutto esprimere gratitudine per il dono dell’esperienza vissuta in questi anni. È una gratitudine che sgorga dal profondo, parte da lontano e si nutre della memoria viva di tante persone care, che negli anni hanno generato in me la gioia e la bellezza dell’incontro con Cristo e con i grandi testimoni della sapienza cristiana, l’amore per le scienze religiose, la teologia, la filosofia e la vita spirituale. Non solo l’amore per la sapienza (philo-sophia), ma soprattutto la «Sapienza dell’Amore», un portare al cuore e alla mente la testimonianza viva di carità come sapienza di vita.
Qui l’elenco sarebbe molto lungo… ma lasciatemi almeno evocare il nome-volto di alcuni padri e fratelli e di alcune madri di questa folta schiera di «viventi» che ora abitano nella beatitudine della sfera celeste, e negli anni passati mi hanno accompagnato in questo cammino: Don Filippo di Grazia, Don Agostino Gasperoni, il vescovo Mariano De Nicolò, il caro Don Biagio Della Pasqua, che già all’inizio del 2000 mi chiese con gioia e fiducia di affiancarlo nel suo servizio di Direzione. Ma anche fuori dai confini canonici della nostra comunità ecclesiale, il prof. Don Italo Mancini, padre (Card.) Tomáš Špidlik, la prof.ssa Nina Kauchtschischwili, la cara madre Alessandra Macajone, il prof. Maurizio Malaguti, Don Giulio Martelli, Don Giuseppe Bellia, il prof. John Lindsay Opie, il caro fratello e amico Don Giorgio Mazzanti… Dall’incontro con loro, dal dono della loro amicizia spirituale, credo di aver appreso l’essenziale riguardo alla «percezione della forma» e al contenuto sostanziale della vita cristiana, nonostante tutti i miei limiti applicativi. Soprattutto il grande dono della Carità intellettuale, vissuta con umiltà, come seme di speranza.

2. Rendere grazia

Ringrazio di cuore i cari Pastori Vescovi delle due Diocesi, Mons. Francesco Lambiasi e Mons. Andrea Turazzi, che hanno reso possibile, non solo dal punto di vista istituzionale e materiale, ma soprattutto come scelta culturale e pastorale, il mantenimento e il rafforzamento di questo Istituto, investendo sulla formazione (teologica, pastorale e spirituale) del laicato nella vita della Chiesa per una fede pensata, nonostante le tante difficoltà, negligenze e resistenze che gravano al suo interno; forze avverse alla profezia che tendono generalmente a frenare ogni risveglio e ogni riforma, ad abbassare il livello qualitativo della presenza e della testimonianza cristiana. Dalla ricchezza spirituale del loro magistero, sempre solidamente ancorato alla forza della Parola, unitamente alla loro premura e attenzione, ho sempre ricevuto incoraggiamento e conforto.
Ringrazio sentitamente tutti i cari colleghi Docenti dell’ISSR «A. Marvelli», presbiteri e laici (a partire dal carissimo Francesco Perez), che negli ultimi 15 anni mi hanno affiancato nella bella e intensa impresa comune di ricostruzione e riqualificazione di questo luogo di iniziazione cristiana, di studio, di educazione, di formazione e ricerca. Grazie alla loro competenza professionale, alla loro creatività, sapienza e passione educativa, abbiamo potuto accrescere e perfezionare la nostra offerta formativa e la sua qualità. In particolare, ringrazio il Vicedirettore che mi ha affiancato con premura negli ultimi anni, il caro Don Gabriele Gozzi, con il quale ho condiviso le gioie e anche le inevitabili sofferenze e difficoltà. Una feconda relazione fraterna alimentata dalla preghiera, vissuta nel dialogo, nel dono del reciproco ascolto, in vista di un discernimento comune. Insomma, una piccola cellula di sinodalità…
Un ringraziamento speciale poi alle care Giuliana Carlini e Melania Marcatelli che, in una persistente situazione di carenza di personale, hanno continuato a svolgere il loro prezioso servizio di Segreteria. Grazie al loro qualificato apporto professionale, svolto sempre con generoso impegno e con grande dedizione, è stato possibile affrontare le tante e crescenti incombenze organizzative, burocratiche, gestionali e istituzionali, senza mai trascurare l’attenzione e la cura delle relazioni personali.
Infine, ringrazio affettuosamente i tanti studenti (oltre 2.500) che a vario titolo (ordinari, ospiti, uditori, ecc.) e con diverse età ed esperienze di vita (laiche e laici, consacrate, religiose/i) – espressione del variegato Popolo di Dio – hanno scelto, in perfetta libertà, di scoprire l’Istituto e di «abitare» per anni le sue aule. Tanti fedeli animati dal desiderio di riscoprire le sorgenti della loro vocazione battesimale, ma anche molte persone in ricerca, che hanno scelto di mettersi in gioco con generosità, impegno, appassionata dedizione, facendosi carico anche di non pochi sacrifici (spesso dopo faticose giornate di lavoro, tanti impegni familiari, ecclesiali e di altro genere). Grazie alla loro fedele e motivata partecipazione, alla loro carica di umanità, animata generalmente da una sincera sete interiore di conoscenza, di accrescimento della propria vita spirituale, culturale e professionale, l’intera Comunità di ricerca dell’ISSR si è arricchita di tanti carismi, accrescendo la ricchezza e la bellezza di una “fede pensata”, di un pensare che rende grazia e la sa riconoscere. Un grande pensatore del Novecento (M. Heidegger) ha giustamente evidenziato che in fondo «pensare è ringraziare», Denken ist Danken, esiste una profonda affinità tra pensare e ringraziare.

3. Cercare la verità nella carità

La vera maturità dei fedeli laici nella fede non può più prescindere da un’autentica ricerca di senso e da una seria formazione spirituale, teologica e culturale. Dai primi Apostoli ai santi Padri della Chiesa, da sant’Agostino a san Tommaso, da Card. John Newman a Edith Stein, fino a papa Giovanni Paolo II, la conoscenza del mistero e l’intelligenza della fede (che chiamiamo teologia) è sempre stata una straordinaria via di santità, una santità creatrice in dialogo con il mondo e con la cultura del proprio tempo per fecondarla e trasfigurarla. Occorre suscitare in ogni battezzato la ricerca del senso più profondo della propria vocazione battesimale mediante la quale egli esercita di fronte al mondo la sua regalità sacerdotale e profetica e porta l’eterno nella concretezza della vita quotidiana. Infatti, la presenza cristiana nel mondo ha un senso solo se torna ad essere lievito e sale che fermenta la pasta e la preserva dalla putrefazione, trasformando ogni cosa in offerta.
Oggi, ancor più che in passato, non è concepibile un’esperienza di fede che non sia anche esercizio del pensiero e dell’intelligenza credente, ovvero esercizio teologico. La fede è un dono, ma per poter essere accolta nella sua pienezza esige dedizione, cura, ricerca di senso. Anche la vita spirituale, come quella biologica, esige ogni giorno un nutrimento sostanzioso. L’intelligenza non porta necessariamente alla fede, ma la fede feconda l’intelligenza. Abbiamo bisogno di un cristianesimo intelligente e profetico, abbiamo bisogno di cristiani pensanti.
Dedicarsi alla formazione teologica, pastorale e spirituale dei fedeli laici nella vita della Chiesa è un dono eccelso, ma anche una grande responsabilità. Come ci ricorda sant’Agostino, ogni Ufficio o attività all’interno della vita ecclesiale è sempre un “servizio di carità”, anche se svolto in ambiti che apparentemente sembrerebbero distanti dalla carità materiale immediata. Se posso permettermi, in fondo, ciò che ha animato intimamente e primariamente il mio servizio in questi anni è racchiuso in una splendida annotazione di san Gregorio di Nissa (tratta dal Dialogo sull’anima e la Risurrezione, intessuto con la sorella Macrina poco dopo la sua morte), nella quale osserva come in un autentico cammino di fede: «La conoscenza diviene Amore». In ultima istanza, per un cristiano consapevole della propria scelta di fede, la conoscenza non è qualcosa di intellettuale, di accademico, bensì un’intellezione d’amore, un cammino insonne alla ricerca di una verità che si traduce in esperienza di oblazione. La verità si iscrive in una relazione ed è fondamentale comprendere che siamo chiamati a «fare la verità nella carità» (Ef 4,15). Questa espressione della Lettera agli Efesini ha una sua decisività, anche perché ci mostra che la verità non è un oggetto in nostro possesso, né un mezzo per trasformare l’altro in oggetto da possedere. La verità cristiana è una verità del Dono, è una verità crocifissa. Il Dio di Gesù Cristo è un Dio di relazione e di amore, fino alla sua estrema consegna, fino alla kenosis, all’amore crocifisso.
Dovremmo riflettere più attentamente e profondamente su questo fatto, anche perché l’ultimo approdo alla verità è possibile solo attraverso l’acquisizione dell’amore quale sostanza divina. Come osservava acutamente a riguardo un grande genio cristiano del XX secolo, padre Pavel Florenskij: «La conoscenza effettiva della verità è pensabile nell’amore e soltanto nell’amore, e, viceversa, la conoscenza della verità si manifesta attraverso l’amore: chi è con l’Amore non può non amare (…). La verità manifesta è amore. L’amore realizzato è bellezza».
Anche questo è straordinario! Considerare la bellezza non un ornamento estetizzante ed esteriore della vita cristiana, bensì un compimento della carità, pienezza del Dono accolto e offerto.
Inseguendo questa prospettiva e lasciandomi pro-vocare da essa, ho fatto semplicemente tesoro dell’insegnamento di due straordinarie figure laicali (nel Novecento) della nostra Chiesa Riminese, alle quali, molto umilmente e in modo certamente imperfetto, mi sono costantemente ispirato: Igino Righetti e Alberto Marvelli. Due formidabili e appassionati testimoni della Carità intellettuale. Basterebbe connettere le folgoranti riflessioni di Igino Righetti rivolte ai giovani della FUCI alla metà degli Anni Trenta, con alcune annotazioni ed esortazioni del Diario di Alberto, per scorgere limpidamente l’altissima considerazione e valore dello studio, della meditazione e della conoscenza come esperienza di amore.
“Carità intellettuale” è espressione di ascendenza agostiniana che si ritrova in Rosmini, negli scritti del card. Newman, in Giovanni Battista Montini (il futuro Paolo VI) e molti altri testimoni della fede cattolica. Scriveva ad esempio il giovane Mons. Montini nella rivista della FUCI: «Chiunque con l’attività del pensiero e della ricerca cerca di diffondere la verità rende servizio alla carità». Poi successivamente, come Papa Paolo VI: «La carità intellettuale può stare sul piano della carità missionaria, perché appunto è rivolta all’illuminazione e alla salvezza degli spiriti umani».
Dunque, non è solo la povertà materiale che può rendere gli uomini infelici e reciprocamente lupi, ma anche la povertà intellettuale (sovente semplificata in ignoranza) e la povertà spirituale (sovente semplificata in materialismo).
Sempre Paolo VI, incontrando i dirigenti e i soci dell’Editrice Studium (il 10 febbraio 1964) ricordava loro che l’idea originaria dalla quale era nata quella esperienza rispondeva a una precisa intuizione: «Fare della cultura cattolica un principio di coesione, (…) di amicizia spirituale, di comunione di pensiero». Ecco, a me pare che questa sia davvero una formidabile intuizione di cui fare tesoro, soprattutto in tempi come questi: l’Amicizia come forma della teologia. La teologia è una forma speciale di diaconia infra-ecclesiale, un cammino – come suggerisce san Paolo – verso la «perfetta conoscenza» che ci consente di entrare nei misteri di Cristo, «nel quale sono nascosti tutti i tesori della sapienza e della scienza» (Col 2,3) mediante «la piena intelligenza», che non è soltanto acutezza della mente, ma anche finezza del cuore, sempre nella relazione personale di amicizia.
Mi viene in mente che nel suo capolavoro La colonna e il fondamento della verità padre Florenskij giunge a questa convinzione: «Nell’amicizia è concesso in forma previa di distruggere l’autoidentità, di abolire i confini dell’Io, di uscire da sé stesso e di trovare il proprio Io nell’Io dell’altro. L’amicizia, come nascita misteriosa del Tu, è il luogo nel quale incomincia la rivelazione della Verità». Anche per questo l’amicizia non ha soltanto un valore affettivo ed etico, ma ancor più una rilevanza ontologica e mistica, come peraltro ci hanno mostrato i più grandi pensatori e testimoni della fede lungo i secoli.

4. Riconoscersi «servi inutili»

Ecco, giunto ormai alla fine formale di questo mio mandato, che preferirei definire “servizio” (nel senso sopra indicato), non mi resta che ricordare (anzitutto a me stesso) l’ammonimento che troviamo nel Vangelo di Luca: «Così anche voi, quando avrete fatto tutto quello che vi è stato ordinato, dite: “Siamo servi inutili. Abbiamo fatto quanto dovevamo fare”» (Lc 17, 10). Come spesso accade, anche in questo caso Gesù usa una parola dura: «servi» e perché non rimangano equivoci, aggiunge: «inutili». Ma a pensarci bene, essere servi di Dio non è poi una brutta cosa, visto che i santi si chiamano proprio così. Maria stessa risponde all’angelo: «Eccomi, sono la serva del Signore». Inoltre, lui stesso ci ha mostrato che la vera grandezza non sta nel dominare, ma nel servire: «Colui che vorrà diventare grande tra voi, si farà vostro servo» (Mt 20,26).
Nel contempo, se siamo servi, vuol dire che esiste un padrone. È bello pensare che non siamo noi i padroni della nostra vita. La fede della Chiesa ci insegna a dire: «Credo in un solo Dio, Padre onnipotente…». Come sappiamo, la sua è l’onnipotenza di un padre, cioè di un amore che rispetta la libertà dei figli, ma che non si arrende di fronte al rifiuto e sa accompagnare con voce dolcissima e sa attendere con infinita pazienza.
Servi inutili. Certamente la vita cristiana è anzitutto donazione, servizio per amore, ma non dimentichiamo che siamo servi inutili. Questo significa che il padrone non ha bisogno di noi, delle nostre prestazioni più o meno brillanti. Quello che desidera è soltanto la fede, cioè il nostro affidarsi, il consegnare a lui la nostra vita. Se guardiamo la nostra vita, tante volte siamo effettivamente utili. Ma i nostri parametri non sono certo quelli di Dio, tanto più che oggi, nella cultura della produzione-consumo, si tende a considerare soltanto l’utilità dell’utile. Ma fortunatamente esiste anche un’«utilità dell’inutile», esiste ancora, se veramente lo desideriamo, l’“inutile” arte della gratuità che ci rende davvero divino-umani, liberi nel Dono. Vivere è celebrare, colmare di senso e pienezza ogni istante dell’esistenza per accoglierla e donarla in una logica di gratuità e bellezza. In fondo, ogni vera utilità è donata: ci è donato di essere utili, poiché il Padrone potrebbe fare senza di noi, anche prima e meglio. Dunque dobbiamo ringraziare. Questa parola di Gesù ci libera dall’ossessione della prestazione: il successo è Suo, a noi compete la fedeltà. Se il nostro servizio sarà fedele, Egli lo utilizzerà per i suoi fini di salvezza, secondo vie misteriose e spesso per noi indeducibili. Ciascuno poi si interrogherà su quello che ora può fare, senza l’ansia di dover rispondere ad altro se non alla propria coscienza, speriamo illuminata dalla Sua Grazia.

Concludo queste brevi annotazioni rivolgendo l’augurio più affettuoso e fraterno all’amico Don Marco Casadei. Sono certo che la sua vivida intelligenza spirituale, il suo intenso cammino interrogante nella fede, all’interno della vita ecclesiale, nutrito dalla ricerca teologica e dalla testimonianza di carità, unitamente alla sua profonda umanità, alla sua capacità di ascolto e di dialogo, e alla sua carica creativa e profetica, saranno certamente di grande stimolo e arricchimento non solo per l’ISSR, ma per le nostre comunità ecclesiali.
Ringrazio ancora tutti e ciascuno di voi per il dono del cammino che abbiamo condiviso e per la pazienza del vostro ascolto.

Natalino Valentini
Intervento svolto a conclusione della Direzione dell’ISSR «A. Marvelli»
(Presentato in Sala Manzoni, Rimini, 16 dicembre 2021)